REALMENTE VIRTUALE: L’ARTE DI GIANNI STEFANUTTO di Carlo Pesce

Gianni Stefanutto è un grafico pubblicitario. Una parte del suo lavoro comporta, su precisa richiesta della committenza, la creazione di elementi grafici che siano in grado di legare un nome a un simbolo. Questo suo mestiere lo pone di fronte a problemi di comunicazione, problemi che egli risolve facendo propria la convinzione che un simbolo sia tanto più efficace e riconoscibile quanto più è facilmente riproducibile, da chiunque. Pertanto, quando dialoga col suo Mac, Stefanutto utilizza un vocabolario che si compone di pochi elementi, un vocabolario con parole alla portata di tutti, di immediata comprensione che, nella pratica del suo lavoro, si traduce nell’elaborazione di geometrie rigorose e regolari, di segni che riproducono profili di immagini privi di ambiguità.

Questa premessa è necessaria per comprendere anche l’altro aspetto della personalità di Gianni Stefanutto, quello che lo lega al mondo dell’arte, un aspetto che lo ha reso uno tra gli artisti più interessanti e aggiornati attualmente in attività in Piemonte.

Egli ha cominciato a realizzare artefatti negli anni Settanta e con coerenza e rigore ha seguito un percorso evolutivo che lo ha condotto a quest’ultima produzione. Le prime opere non appartenevano al mondo virtuale, erano “vere”, tangibili. Esse nascevano da un disegno che insisteva sulla linea, facendola incidere sullo spazio in modi diversi, fino a ottenere una struttura “scolpita” attraversata da campiture parallele colorate. Questa idea è anche alla base della fase più “naturalistica”, una fase che conduce l’autore a confrontarsi con la realtà che lo circonda, e a comporre delle strutture sfruttando le caratteristiche fisiche e chimiche di ciottoli di fiume neri, attraversati da inserimenti calcarei bianchi. Pure in questo caso il risultato è di tridimensionalità non virtuale.

Questi stessi oggetti diventano, a partire dagli anni ‘80/’90, gli elementi della ricerca artistico/visiva dell’autore, ma, contrariamente a ciò che accadeva in precedenza, ora sono prettamente virtuali, con una insistenza ironica sul “falso percettivo”, un’insistenza che, per esempio, trasforma delle fotografie in cui compare l’autore in supporti per far vedere nuove situazioni lineari.

Prendendo infine in considerazione l’ultimo ventennio della sua attività, è da sottolineare prima di tutto il rigore della ricerca di Stefanutto, una ricerca che dà esiti sempre estremamente piacevoli e raffinati. Egli agisce su una tela virtuale che è lo schermo del PC, o meglio, è il file che egli apre e che appare ai suoi occhi come una superficie bianca, esattamente come una tela non ancora dipinta. La sua azione avviene attraverso il posizionamento di un segno – o meglio, una linea – che, tracciato su un supporto elettronico, è riprodotto sullo schermo. Egli agisce sulla linea, sulla sua razionalizzazione, trasportando la percezione di un segno dal carattere prettamente bidimensionale, a quello tridimensionale. La linea su cui agisce Stefanutto si muove nello spazio, con una certa imprevedibilità controllata, mischiando, riprendendo le parole di Bruno Munari, fantasia e creatività. Partendo dunque da questo segno (o linea), sfruttando le possibilità fornitegli dalla tecnologia, l’autore ottiene una struttura di segni (o linee) condizionata dalla sua azione di artista, una struttura che, sempre diversa, è presentata al fruitore sempre con la medesima titolazione: situazione lineare digitale. Questo titolo riassume in sé tutta la poetica dell’arte di Gianni Stefanutto. Infatti, il sostantivo “situazione” evoca una connessione di elementi che configurano la condizione attuale di un avvenimento; l’aggettivo “lineare” evidenzia l’essenza geometrica del lavoro e l’altro aggettivo, “digitale”, mette inequivocabilmente in evidenza l’aspetto virtuale di questi prodotti artistici.

Osservando le opere di Stefanutto si ha l’impressione di avere di fronte delle strutture pulsanti che si piegano, si ritorcono, si impongono nello spazio sfruttando delle variabili matematiche che creano affascinanti “geometroidi” che hanno il loro concepimento nel silenzio dell’universo informatico. È un’arte nello stesso tempo organica e razionale, immobile e dinamica.

In ogni caso, al di là di qualsiasi velleità interpretativa operata dalla critica, velleità che spesso l’autore glissa con un ironico sorriso, l’approccio ai lavori di Stefanutto non deve essere effettivamente complicato da congetture e riflessioni. Infatti, la sua creatività è assolutamente direttamente proporzionale alla sua volontà di “divertirsi”, in quanto, ogni volta che si accinge a produrre un suo lavoro, sembra che lo faccia non tanto inseguendo una sfida con se stesso, ma imponendosi di lavorare come se stesse giocando. Ovviamente tutto ciò non deve essere frainteso, giocare per Stefanutto non significa banalizzare, significa che, come ha scritto Roberto Livraghi, in un articolo che introduceva una sua mostra, “l’artista vuole che scopriamo il nuovo che esiste fuori e dentro di noi, ma programmaticamente desidera che questo avvenga nella leggerezza, strappando un sorriso, dando vita al piacere che prova soltanto chi torna alla dimensione del gioco.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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